giovedì 9 luglio 2015

DI TAMPINAMENTI



Sono arrivata al lavoro presto, al termine di una notte dormita dopo essere, presumibilmente, svenuta per il caldo.


Nonostante le temperature esterne, debbo essere impeccabile e tosta, fuori e dentro.


Apparenza che forza l'essenza, e l'essenza che si lascia violare per una giusta causa: il lavoro.


L'essenza, in verità, è abbastanza appannata, quasi anestetizzata, ultimamente.
In sofferenza.


Sui tacchi alti, accaldata e insofferente, ho cominciato a boccheggiare nell'attesa.
E dunque un tipo, che a tutti i costi voleva chiacchierare, mi ha portata in un corridoio adiacente dotato di aria condizionata.


Mi sono condizionata a tal punto che stavo quasi per avere freddo.


Sono diventata piú collaborativa rispetto alla conversazione inutilmente intavolata.


Nel frattempo, un altro tipo che mi puntava da un po', ha preso parte alla conversazione.


Un bel tipo, ricciolino, grintoso, brizzolato, la fede al dito.


Mi è stato addosso tutto il tempo.


Mi muovevo e si muoveva dietro di me.


Tornavo e tornava con me.


Ad ogni sguardo attaccava bottone.


L'ho lasciato fare.


Stanca di stare in piedi, ho palesato il fatto che desideravo sedermi, ma che non ci fossero sedie...


Beh, il tipo che mi ha fatto scoprire il condizionatore mi è andato a prendere una sedia al piano di sotto.


Quanta prontezza di fronte a un bel vestito e dei tacchi alti, quasi lodevole...


Nel frattempo mi ha raggiunto un impiegato cui avevo lasciato delle cose ad ufficio chiuso al pubblico - si lasciano corrompere da un sorriso, che ci posso fare, se non approfittarne? - per dirmi che erano incomplete e, per favore, ma senza fretta nè affanno, di sistemargliele.


Certo.


Sono corsa a sistemare tutto e ho doppiamente ringraziato per la cortesia.


Il ricciolino mi ha vista seduta e mi ha chiesto dove avessi trovato la sedia e se volessimo fare a turno a sederci.
Gli ho detto che me l'aveva recuperata l'altro tipo e che non ci pensavo proprio di alternarmi nella seduta con lui, di procurarsene una al piano di sotto.


La sedia presa al piano di sotto è finita seduta accanto alla mia.


Per poco tempo, perchè poi siamo entrati insieme nella stanza per la quale eravamo in attesa.


E lì ha dovuto cedermi il posto, non volendo, e invece di ritrarsi, mi si è seduto accanto.


S'è avvicinato al mio orecchio e mi ha detto: "ti ho tampinata tutto il tempo, oggi..."


Vero.


"Avresti potuto tampinarmi quanto ti pare, senza una fede al dito", gli avrei risposto, ma ho rivolto lo sguardo altrove e ho sorriso dandogli semplicemente ragione.






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