domenica 5 luglio 2015

RASTRELLI AL SERVIZIO DELL'IDIOZIA



Esco a pesca di frutti, in barca, e arrivati nella piccola caletta mi butto in acqua, con un equipaggiamento ridotto all'essenziale: maschera senza tubo, una rete, le mani nude.


Il mio equipaggiamento solito, in veritá, sono io, ma stavolta ero attrezzata.


Mi immergo effettuando brevi apnee, puntando i frutti piú grandi ed accessibili, o insistendo con quelli piú tenaci finché l'ossigeno non arriva ad esaurimento, obbligandomi a risalire in superfice.


Ad ogni strappo del frutto dalla vita acquatica è un banchettare di pesci in timida attesa attorno alle mie mani.


Ho visto un pesce giallo e blu meraviglioso affacciarsi curioso ad un metro da me, salvo poi allontanarsi noncurante verso il mare aperto.


Volevo entrare in grotta a fare un sorso d'acqua dalla sorgente, ma il pensiero di posare i piedi gentili sugli scogli aguzzi mi ha fatto desistere.


I tagli sulle mani - mi taglio ogni volta - nonostante siano profondi, guariscono.
Dopo dieci giorni circa, ma dal terzo giorno non bruciano piú.
Sotto i piedi non posso concedermelo: devo poter indossare le scarpe per andare al lavoro.


Mentre effettuavo le mie brevi immersioni, mi sono resa conto che un tipo, in acqua sotto la parete rocciosa di fronte a me, faceva gesti e fischiava al mio indirizzo.


I gesti allarmistici, a mare, senza motivi ragionevoli, sono tipici dei coglioni.


Alle mie spalle la compagnia con cui sono uscita in barca, tolgo la maschera e chiedo al tipo se tante volte ce l'ha con noi.


"Sto cercando di chiamare quel tizio. È un mio amico..."
"Dubito. Chi sei?"


Non mi ha risposto.


È emerso uno dei miei compagni di barca e gli ha chiesto cosa volesse.


"Ah, scusa! Ti avevo scambiato per il mio operaio!"


Il sorriso di scherno su questa risposta e l'immersione immediata hanno chiuso la questione.


Non pago, il tipo ha pensato bene di venire in esplorazione dove ero io.


Appena ha aperto bocca per chiacchierare mi sono immersa.


Risalita in cerca di ossigeno, di nuovo in procinto di parlare, gli faccio "dicevi?".


"No vabbè prima ho scambiato il tuo amico per il mio operaio".


"Ah... Scendi con gli operai a mare?", e l'ho guardato con sdegno reimmergendomi immediatamente.


Certa gente cosa non farebbe pur di darsi un tono.
Pure mentre si fa il bagno a mare.
Ha continuato a girarmi intorno e a stazionare dove ero io per diverso tempo.
Mi guardava sott'acqua con la mascherina e la bocca deformata dall'ingresso del boccaglio


Il suo equipaggiamento fatto di maschera con tubo, pinne e rastrello lo rendeva abbastanza ridicolo.


Il rastrello, soprattutto, è uno strumento che nella tradizione "di pesca" di famiglia è bandito.


Non consente che una guerra impari ed è uno strumento per sfigati, che oltretutto danneggia inutilmente sia i frutti che si raccolgono che quelli che restano.
Uno strumento criminale, dunque, a parte tutto.


Anche nel procacciarsi cibo, come nella vita privata e nel lavoro, serve un'etica.


Chi non l'ha è uno zotico senza speranza.


Il rastrellamento alla scellerata, inoltre, ha pregiudicato la visibilità in acqua, che stamane era davvero cristallina.


Me ne sono andata prima di strapparglielo di mano e suonarglielo in testa.


In barca ci siamo resi conto di aver preso per errore una stella.


Era lí, le cinque punte intatte, ma tutta avvolta su se stessa, stropicciata, immobile.


"Sará morta?", prendendola in mano.


Ho notato che i piccoli filamenti delle punte si erano giá fortemente incollati alla mia pelle.


L'ho messa in acqua aspettando un attimo che rifiorisse nella sua forma a stella e l'ho lasciata andare nel blu.


La sessione di pesca è terminata con l'assaggio a crudo dei frutti.


Un'abitudine che mi hanno fatto prendere da piccola e mantengo tutt'ora, nonostante comporti rischi di ogni sorta e anatemi vari da parte di chi, da profano, vi assiste.


A parte il sangue che perdo perchè li apro a mani nude, ad oggi non ho riportato altre conseguenze.













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