martedì 21 giugno 2016

DI CLIENTI



Mi sono alzata per andare al bagno e mi hanno intercettata.
Sembrava il circo.
Ho mal di testa.
Ho troppa fame.
Dovrei anche bere un goccio d'acqua.

Mi chiama che sta arrivando.
Non è puntuale, come suo solito.
E non merita le mie attese.
E non me ne frega niente delle sue scuse.
Mi deve pagare, pure.

Devo fare questa stramaledetta chiamata di lavoro, che però non è solo lavoro, e che mi turba più del dovuto, e che stamattina nel letto ci ho pensato, e non va bene.

Mi scoppia la testa, l'ho già scritto?

Continuo a ticchettare sulla tastiera, un ticchettio simile a quello dell'orologio e di questa mia vita che scivola via tra le carte e quel che c'è scritto.

Le parole compiono voli pindarici, le istruisco sul senso da dare alle frasi, sulle emozioni da trasmettere, sull'indignazione da suscitare.

Le parole, quelle appuntate sul taccuino vicino al letto, dovevo invece trascriverle su un post it, da appiccicare in quel book, che è ancora incartato, sul mobile dell'ingresso.
Che dovrebbe rimanere mio, ma non lo sento mio, e non mi sento nemmeno di recapitare.

Che senso avrebbe?

Lo stesso senso che manca alla vita.

O di cui è piena.



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